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CAPITOLO V
Considerazioni conclusive: dalle teorie economiche alle politiche del lavoro
5.0 Introduzione
In questo ultimo capitolo si intende concludere l'analisi ricollegando lo studio di caso alla problematica più generale degli
effetti occupazionali dell'ICT. Scopo delle presenti conclusioni è di trarre dai risultati della nostra indagine alcune riflessioni,
che superino la pura contrapposizione accademica tra teorie ottimiste e pessimiste circa il rapporto intercorrente
tra progresso tecnico ed occupazione.
Inoltre, tali considerazioni mirano ad individuare la rete delle interconnessioni causali attraverso cui le nuove tecnologie
agiscono e producono effetti sui livelli e sulla struttura dell'occupazione.
Saranno considerate, infine, le posizioni prese dalle autorità governative nei confronti di tale problema e le linee di
intervento previste a riguardo.
5.1 Dalla teoria alla pratica, dal micro al macro e viceversa
Come sostenuto da Manelli, Pace e Cecchini (2001) si può veramente affermare che "la costante della Nuova Economia è il cambiamento
continuo" (pag. 83).
Nel secondo capitolo, abbiamo visto che le nuove tecnologie sono l'essenza stessa della new economy, esse svolgono un ruolo
essenziale: offrono a tutti una scelta più ampia, un accesso più semplice a beni e servizi con una qualità migliore, alimentano
continuamente la loro rilevanza per il presente e per gli sviluppi futuri, accrescendo la necessità di innovazione del sistema.
Esse obbligano molti lavoratori a mutare o rivedere le proprie forme di impiego, così che il termine "flessibilità"
(spesso puramente inteso nel dibattito teorico-politico col significato riduttivo di "compressione salariale e/o crescita del
turn over") abbia invece la valenza positiva di "rapido adattamento qualitativo" alle nuove modalità di produrre.
Di fatto, per quello che è stato possibile costatare a livello empirico, non si è potuto affermare che l'introduzione di nuove
tecnologie a livello aziendale abbia diminuito il volume dell'occupazione; in particolare, nel caso pratico, la crescita delle
attività legate ad esse ha comportato un incremento degli occupati, seppur modificando le caratteristiche di impiego della forza
lavoro.
Per cominciare a trarre le prime conclusioni sull'impatto occupazionale delle nuove tecnologie ICT, è indispensabile recuperare
alcuni elementi teorici, affrontati nel capitolo iniziale, e riallacciarci alle diverse spiegazioni del rapporto tra progresso
tecnico ed occupazione (strumento chiave dello sviluppo dinamico della ricchezza individuale e collettiva), proposte dalle
varie scuole di pensiero economico.
Da una parte, come si ricorderà, vi è il modello classico autoregolantesi, equilibratore del mercato, fondato sulla legge di Say.
Abbiamo visto che per gli economisti che vi fanno riferimento, le forze automatiche del mercato riescono a ristabilire
l'equilibrio anche in presenza di progresso tecnico. Questo viene da loro considerato un fattore esogeno e neutrale.
Pertanto, la disoccupazione non è dovuta alla tecnologia, ma ad imperfezioni occasionali nei meccanismi di informazione
tra domanda ed offerta. Vale la teoria della compensazione: per questi autori il sistema tenderà sempre a corrispondere
ad un tasso naturale di disoccupazione, il quale sarà legato strettamente alle tecnologie disponibili.
All'altro estremo, si trova il modello marxiano, in cui lo studio del legame tra progresso tecnico ed accumulazione di capitale
(attraverso cui l'innovazione entra nel sistema) è necessario a comprendere lo sviluppo degli effetti sul mercato del lavoro
e l'incremento del livello di meccanizzazione del processo produttivo.
L'impiego delle macchine costituisce un importante strumento per resistere alle pressioni salariali della forza lavoro.
In una posizione intermedia, si trovano il modello schumpeteriano e quello post-keynesiano. Nel primo, si è visto che le
innovazioni sono collegate ad una rottura nel breve periodo degli equilibri produttivi precedenti.
Come giustamente sottolinea Reich "un'economia sana non è mai in perfetto equilibrio" (Reich, 2001, pag. 53), poiché l'innesco
di un processo di distruzione creativa costituisce un elemento fondamentale per l'evoluzione dei mercati.
L'innovazione porta all'introduzione di nuovi prodotti, processi, mercati e modalità produttive ed organizzative.
Il modello post-keynesiano, invece, afferma che, comunque, deve essere riconosciuta la presenza di "scricchiolii e cigolii".
Rilevando l'importanza del rapporto tra tecnologia ed accumulazione del capitale, i sostenitori di tale modello teorico
non ritengono più che il progresso tecnico sia neutrale rispetto all'occupazione.
Questo avviene solo nel caso in cui si verifichi l'uguaglianza dei tassi di crescita tra capitale e lavoro.
In sostanza, il sistema non è capace di garantire investimenti tali da assorbire tutta la manodopera disponibile.
L'innovazione tecnica implica ripercussioni sul piano economico-sociale, a causa degli effetti che essa induce a
livello istituzionale e di organizzazione delle strutture sociali.
Il modello dinamico disaggregato multisettoriale di Pasinetti considera le variazioni della produttività nei vari rami
dell'economia e definisce il concetto di integrazione verticale del processo produttivo.
Da questo si deduce che le innovazioni tecnologiche comportino forti mutamenti nella distribuzione intersettoriale
(oltre che intrasettoriale) dell'economia, perciò risulterebbe fondamentale l'esistenza di una forte mobilità¹
dei lavoratori stessi tra i diversi rami dell'economia.
Sylos Labini si concentra sulla natura endogena/esogena delle innovazioni rispetto al sistema economico e sui
fattori che favoriscono l'introduzione di macchinari nella produzione.
Perez e Boyer stimano che gli aggiustamenti si realizzino solo tramite cambiamenti sociali e politici, adeguati
alle peculiarità delle nuove tecnologie.
Vediamo che le variabili coinvolte dalla visione aggregata e da quella disaggregata sono in generale le seguenti:
la produttività, la produzione, i prezzi dei fattori, la composizione settoriale della produzione, la domanda
ed in una visione dinamica il tempo. Ovviamente sappiamo che l'ascesa delle nuove tecnologie, il declino o
lo sviluppo di interi settori, i nuovi investimenti infrastrutturali, gli spostamenti della dislocazione
internazionale delle industrie e della leadership tecnologica, gli interventi dello Stato a favore di questo o
quel settore, una variazione delle norme mutano il quadro di riferimento in cui il rapporto tecnologie/lavoro si evolve.
Ma come è vero che tale legame varia nel tempo è altresì vero che muta anche il contesto di riferimento.
Ognuno dei modelli sopraesposti non fa altro che tentare di spiegare il legame esistente tra progresso tecnico e posti di
lavoro, considerando il mutamento di alcune variabili e la costanza di altre e provando a semplificare più o meno
la realtà dei fatti. Questo inevitabilmente accresce le difficoltà di chi tenta di definire l'andamento del fenomeno
oggetto della nostra indagine, nel lungo periodo.
Oggettivamente, vi è la necessità di fare riferimento ad una visione disaggregata dell'analisi, dato che quella
aggregata è eccessivamente semplicistica e generica.
Potremmo, dunque, partire da un approccio di tipo post-keynesiano (ove possa albergare un'ipotesi di "disoccupazione
involontaria" estranea alla scuola neoclassica ortodossa), ma qualificandolo con aspetti "microfondati"
(ove abbia spazio sia l'analisi del comportamento individuale, sia -soprattutto- l'impostazione dinamica di lungo periodo).
Oggi sappiamo che il progresso tecnico porta grandi cambiamenti nel mondo del lavoro.
In generale, la produzione è affidata a macchinari, che tolgono certamente lavoro manuale, ma allo stesso tempo riducono
i prezzi e, di conseguenza, incrementano il potere di acquisto.
Se i consumatori comprano di più, le imprese producono
maggiori quantità di beni e servizi ed avranno bisogno di nuovi occupati. Sappiamo che i bisogni umani sono inesauribili:
se diminuisce l'occupazione nel settore primario e nel secondario, aumenta certamente in quello terziario per soddisfare
molti bisogni che vanno ben oltre le necessità essenziali (intrattenimento, stimolo intellettuale, comunicazione,
benessere famigliare, sicurezza finanziaria, salute).
Insomma, possiamo dire che la disoccupazione tecnologica potrebbe
curarsi da sola, o quasi, sotto la condizione che l'esistenza di personale qualificato serva non solo a combinare in modo
adeguato e più produttivo il capitale fisico e quello umano, ma anche e soprattutto a "gestire" il prevedibile aumento
della produttività media dei fattori, a favore di un incremento occupazionale.
E' noto, infatti, che una crescita della produttività indotta da progresso tecnico ha, come prima conseguenza visualizzabile
in un grafico, lo spostamento in alto della funzione di produzione (da Y a Y') contrassegnando un aumento del prodotto
per unità di fattore impiegato (la curva di domanda si sposta a destra).
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