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CAPITOLO II
L'ICT e l'Occupazione
2.2 Tendenze in atto: l'incertezza tra crisi e riprese del settore
La nascita e l'estensione di un nuovo paradigma (quale quello dell'ICT) implicano sempre un processo lungo e difficile di
continua revisione sia per le aziende grandi, sia per le piccole, intensificando la concorrenza e spiazzando o costringendo
a mutare procedure e istituzioni antiquate.
In tal senso, si possono costatare due fenomeni contrari: mentre, in alcune industrie relative alle tecnologie
dell'informazione e della comunicazione, le piccole e medie imprese (PMI) fioriscono e le grandi aziende stanno
spesso riducendo le loro dimensioni, in altre, ci si riconcentra ed è in corso un'ondata di fusioni.
Questi andamenti sono tipici di un periodo di assestamento strutturale del nuovo paradigma, che vede molte imprese
tagliare la forza lavoro ed effettuare cambiamenti strutturali.
Dal punto di vista occupazionale, va rilevato che tutti questi mutamenti e la globalizzazione delle rapide innovazioni
tecniche ed organizzative hanno generato conseguenze drammatiche nelle strutture industriali e manageriali delle aziende.
Le società maggiori (con gerarchie e dipartimenti più corposi) si sono trovate a fronteggiare le difficoltà più gravi:
infatti, con la disponibilità dei dati fornita dalle reti di elaboratori, i quadri intermedi sono spesso scomparsi.
Inoltre, il maggior decentramento delle modalità di produzione verso aziende minori (outsourcing) ha aumentato la
spinta al down-sizing¹ , riducendo ulteriormente la presenza di dirigenti intermedi nell'impresa.
L'andamento delle PMI diventerà sempre più rilevante ai fini dell'ampliamento dell'occupazione, in quanto saranno
loro a consentire l'aggiustamento occupazionale partito dai piani di ristrutturazione delle grandi aziende.
Secondo Affari & Finanza (A&F) del 2 luglio 2001, era già in corso una forte frenata delle vendite di
hardware e software, specialmente negli USA, che aveva costretto i colossi del settore hi-tech a pesanti piani
di ristrutturazione.
Era tornata in voga la regola aurea del mondo del pc, la legge di Moore, secondo la quale,
all'aumentare della potenza di elaborazione corrisponde un taglio dei prezzi. Attualmente, essa è un vero obbligo
per le imprese dato il periodo di notevole rallentamento dell'economia, che nel mondo dell'ICT è divenuto quasi panico.
Di recente, le aspettative di crescita sembrano affrontare una fase negativa: se negli anni '80 il sistema produttivo
più dinamico dei Paesi sviluppati era quello del Giappone, negli anni '90 esso ha iniziato ad
attraversare una crisi dalla quale non si è ancora ripreso, anche per quel che riguarda il settore ICT (A&F, 3 settembre 2001, pp. 10 - 11).
L'economia giapponese sta vedendo rallentare le esportazioni, diminuire la produzione, fermare i consumi ed, inoltre, il
Paese è sepolto da una quantità di debiti pari a cinque volte il suo prodotto lordo. Insomma, il Giappone è colpito da
deflazione (al 2%), recessione e disoccupazione (al 5%).
Va specificato che quasi 1.000.000 di lavoratori nipponici ha perso il posto di lavoro negli ultimi mesi, eppure solo
120.000 sono registrati come disoccupati. Il vero tasso di disoccupazione sfiora il 10%. Per reagire, infatti, le imprese
hanno dovuto prendere l'unico provvedimento possibile, ridurre il carico di dipendenti.
In particolare, l'arresto generalizzato dei consumi ha portato in pochi giorni ad una raffica di tagli occupazionali: 19.000
alla Toshiba (entro il 2004), 16.000 alla Fujitsu, 4.000 alla Nec, 14.000 all'Hitachi, la maggior parte nel settore delle
"memorie" degli elaboratori elettronici. Poi la crisi ha colpito più a fondo: la Kyocera, maggior produttrice di guaine
in ceramica per la protezione dei semiconduttori, ha tagliato 10.000 posti (il 20% del suo organico), mentre l'Oki, che
fa apparati per le telecomunicazioni licenzierà 2.200 addetti (il 10% del totale). Inevitabilmente, è scattata la corsa
al consolidamento del settore. Si cerca di inventare fusioni, sperando che col lancio di Windows XP aumentino le
necessità di memoria dei computer.
Attualmente, "il calo delle vendite è tale che gli stabilimenti marciano a non più del 60% di potenza, i costi
produttivi sono oggi il doppio dei prezzi di vendita ed i prezzi stessi sono scesi fino al 90% nell'ultimo anno:
un chip che si vendeva a 9,47 dollari…oggi si trova in media a 2,92. Se nel 2000 il mercato complessivo è stato
di 29 miliardi di dollari, quest'anno non si supereranno i 12" (A&F, 3 settembre 2001, pag. 11).
La sola possibilità di scongiurare la catastrofe è realizzare i necessari interventi strutturali straordinari del governo
per l'economia e l'occupazione.
Come se non bastasse, l'attentato dell'11 settembre alle Twin Towers di New York ha generato un clima di sfiducia e di
aspettative negative e l'economia dei tre grandi blocchi occidentali (Stati Uniti, Europa e Giappone), che già attraversava
una fase di rallentamento, si trova ora a scongiurare ormai ciò che è inevitabile: la recessione globale.
Ci si chiede quali saranno le ripercussioni della guerra che gli Stati Uniti stanno combattendo contro il terrorismo: gli
esperti ritengono che l'effetto immediato della guerra sarà quello di ritardare ulteriormente il recupero di chi fa business on-line.
Per i giganti di Internet, le ricadute dell'attacco sono state pesanti, ma in Borsa, a distanza di un mese, gli indici
hanno sostanzialmente recuperato i livelli precedenti all'attacco terroristico (A&F, 15 ottobre 2001, pag. 4).
Per alcuni, si teme una potenziale contrazione degli introiti pubblicitari nel breve termine ed a cascata tagli sul personale,
aumenti sui costi di alcuni servizi e la ricerca affannosa di nuovi introiti che sostituiscano quelli pubblicitari.
Per altri, la guerra dovrebbe aumentare gli investimenti pubblicitari nei servizi di news in televisione e radio,
come durante la Guerra del Golfo. Ma, il fatto è che la pubblicità on-line era già in crisi da diversi mesi: si
teme che si verifichi un fenomeno causa-effetto quale quello meno pubblicità-meno acquisti on ed off-line.
Di qui, altri licenziamenti in AOL sia in Europa, sia in America Latina (A&F, 1° ottobre 2001, pag. 8).
Al 5 ottobre 2001, secondo la Federcomin² la televisione si conferma il mezzo di comunicazione che attira la quota più ampia
degli investimenti pubblicitari: nel 2000 ha raccolto circa il 58% del totale, pari a oltre 7 miliardi di Euro, seguita
dalla stampa (34%) e dalla radio (5%). Nei primi cinque mesi di quest'anno, dal confronto con lo stesso periodo del 2000,
emerge una sostanziale stabilità degli spot TV, mentre si riduce sensibilmente la raccolta delle radio (-9,9%).
In Italia sono quasi 21 milioni le famiglie dotate di un TV color, quasi 3 milioni le famiglie con un'apparecchiatura
di ricezione satellitare, 3 milioni le unità residenziali cablate. Il numero di abbonati alla Pay-Tv nel nostro
Paese non raggiungono ancora i 3 milioni (sono quasi 11 milioni in Francia, quasi 14 nel Regno Unito, quasi 25 in Germania).
Le previsioni per il 2001 confermano una crescita in tutti i Paesi, trainata principalmente dalla piattaforma
satellitare e dai servizi via cavo.
I ricavi derivanti dai servizi di Pay-Tv ammontano in Italia, secondo le previsioni del 2001, a poco meno di
650 milioni di euro (quasi 3 miliardi e mezzo di euro in Francia e quasi 5 in Francia e Germania).
L'andamento del mercato italiano dei servizi di telefonia fissa è caratterizzato da due fenomeni principali:
l'aumento dei volumi di traffico e la diminuzione dei prezzi al minuto sulle principali direttrici, che conduce alla
discesa dei ricavi degli operatori. I dati del 2000 mostrano una crescita del 15,7% nei minuti di collegamento - dovuti
principalmente allo sviluppo dei servizi online - e un calo del 4,7% nel fatturato derivante dalle telefonate.
La diffusione delle linee a larga banda in Italia sta aumentando rapidamente e secondo le stime all'inizio del
mese di settembre di quest'anno le connessioni a "larga banda" (xDSL e collegamenti in fibra ottica) hanno raggiunto
un totale di circa 340.000 utenti.
Alla fine del primo semestre dell'anno in corso si segnala una crescita del 8%
del numero di possessori di telefoni cellulari rispetto a fine 2000 (in Italia sono circa 45 milioni e mezzo alla
fine del primo semestre 2001). La crescita percentuale del numero di utenti SMS, nel corso del 2000, è stata pari al
177%, per un totale di oltre 14,3 milioni di users, divenuti circa 18,7 milioni secondo le stime del secondo semestre 2001.
Sulla base di queste indicazioni, quindi, alla fine del primo semestre 2001 circa il 41% dei possessori di telefono
cellulare è anche utilizzatore dei servizi SMS.
Paul Krugman³ (A&F, 8 ottobre 2001, pp. 2 - 4), il quale afferma che Bin Laden ha "colpito i centri nervosi
del capitalismo globale", sostiene che per comprendere quei rischi economici che si potrebbero dover affrontare
in futuro vanno capiti a fondo i motivi della crisi che era già precedente all'11 settembre.
Inizialmente, Krugman spiega come un'economia possa essere colpita in due modi: può diminuire l'offerta o la domanda.
In ogni caso, l'attacco non interferirà con la capacità dell'economia statunitense di produrre, mentre potrebbe indurre
la gente a non spendere e le industrie non troverebbero più acquirenti.
Si genererebbe una crisi della domanda che
porterebbe alla depressione dell'economia, a causa di una questione psicologica: tutto dipenderà dai "sentimenti"
dei consumatori, dai loro animal spirits, come li chiamava Keynes. A proposito, Krugman afferma che "la sola cosa
di cui dobbiamo aver paura è la paura stessa".
Gli Stati moderni dispongono di potenti armi contro il rallentamento dell'economia: la politica monetaria
(la banca centrale può ridurre i tassi di interesse per convincere imprese e consumatori a chiedere prestiti e
spendere, cosa che crea nuova occupazione ed aumenta il consumo) e la politica fiscale (con cui il governo può
favorire la domanda, abbassando le tasse o innalzando la spesa pubblica).
Dagli anni '30 ad oggi, la prima ha
sempre funzionato, tra l'altro risollevando gli USA dalle tre recessioni degli ultimi trent'anni, nel 1975, 1982 e 1991.
A volte ha operato anche troppo bene, in quanto induce spesso i Paesi che la adottano a perseguire politiche di
crescita del prodotto e dell'occupazione troppo elevate, producendo, quindi, inflazione4 . Secondo alcuni economisti,
il secondo tipo di politica, quella fiscale, non è necessario per affrontare la maggior parte delle recessioni.
Krugman parla della crisi giapponese e dell'importanza dell'intervento statale per tentare di evitarla, purtroppo
queste politiche non hanno prodotto risultati definitivi concreti: i tassi a breve sono stati ridotti a zero
(ma non vi sono stati segnali né di inflazione, né di ripresa: si parla di trappola della liquidità) ed un'ingente
spesa in disavanzo ha permesso al Paese di rimanere a galla, rallentando la discesa dell'economia (benché non ne
abbia invertito la tendenza di lungo periodo).
A riguardo, "il Giappone ha utilizzato grandiosi progetti di opere
pubbliche per creare occupazione e pompare denaro nell'economia".
Tuttavia, si è registrato un forte aumento dei fallimenti, nella patria del posto di lavoro a vita e del convoy sistem5 .
Negli USA i terroristi hanno provocato indirettamente un rilancio dell'economia, producendo politiche monetarie e fiscali
espansionistiche, anche se l'economia statunitense gonfiata, i problemi del Giappone, l'impatto psicologico dell'attacco
potrebbero portare ad uno stato prolungato di stagnazione. Krugman conclude che "perché le cose cambino realmente occorre
una leadership efficace che riconosca la gravità della situazione, non rinunci ad agire per il timore di ripercussioni
politiche...che sia preparata ad esplorare rimedi non ortodossi qualora le soluzioni tradizionali si rivelino inutili".
Nonostante tutte le difficoltà del momento e le ristrutturazioni, l'Information Comunication Technology ha
rappresentato nell'ultimo decennio l'attività col maggior saggio di crescita mondiale sia nella produzione,
sia nel consumo, sia nell'occupazione. Inoltre, ha registrato il massimo aumento della produttività del capitale e del lavoro.
Anche se la determinazione della produttività del software è particolarmente complessa, lo studio di Lichtenberg
(1993) dimostra che gli investimenti in computerizzazione hanno portato ritorni straordinariamente alti:
oggi è ancora così, anche se si riferiscono in modo particolare ad Internet.
Al 1° ottobre 2001 troviamo che il direttore generale della Velodea scrive: "Internet è viva.
E' la new economy che è morta, almeno il modello visto fino ad oggi" e poi aggiunge: "E' vero la maggior parte dei portali
votati all'e-commerce sono falliti, ma è anche vero che oggi venti milioni di americani (dati PhoCus Wright Research 2001)
acquistano i biglietti aerei direttamente on-line e i viaggi in generale sono diventati la categoria top-selling
sulla Rete...Secondo una ricerca di Jupiter Media Metrix, il 29% (dei teen-ager) utilizza Internet per trovare
informazioni sui prodotti che acquisterà off-line ...La popolazione adulta della Rete è in netta crescita (+18% ad aprile 2001)
...La riconversione sta partendo dagli Stati Uniti" (A&F, 1° ottobre 2001, pag. 10).
Dunque, si parla di riconversione, mentre al 23 luglio si sosteneva che: "Tutta la new economy è in crisi, ma l'e-commerce
è più in crisi di tutto. Ariba, leader delle soluzioni per il B2B6 , sprofonda in un mare di perdite...dopo un write-off di
70 milioni di dollari in ristrutturazioni e tagli occupazionali" (A&F, 23 luglio, pag. 9).
Il 5 ottobre 2001 Federcomin ha presentato il secondo numero dell'"Osservatorio Federcomin sul mercato ICT",
con cui si vogliono mettere a fuoco gli scenari di competitività in cui opera l'Italia della net-economy.
Sono stati diffusi i dati relativi ai principali trend italiani ed internazionali relativi al mercato ICT, a seguito dei recenti
drammatici avvenimenti americani. Secondo questa ricerca di mercato, sono possibili due scenari circa l'andamento
del mercato dell'Information Technology (IT) in Europa: il primo, più probabile, vede una crescita al 7,9% nel 2001
ed all'8,5% l'anno prossimo. Il secondo scenario è meno favorevole, ma, comunque, ipotizza un trend positivo, sia
nel 2001 che nel 2002 (rispettivamente 7,4% e 6,5%).
Le previsioni per il settore ICT in Europa hanno un andamento positivo, anche se non come nel 2000 (13,0 %) o nel
2001 (11,0%): la crescita prevista per il 2002 si colloca all'8,9%.
Il mercato italiano dell'IT è stato pari nel 2000 a 19,59 miliardi di euro, con un incremento dell'11,7% sull'anno precedente.
La crescita è stata trainata da tutti e tre i comparti principali: hardware (11,5%), software (10,2%) e servizi (12,4%).
Le stime per il 2001 (11,3%) indicano una crescita del mercato a tassi di poco inferiori a quelli del 2000 (11,7%), e
sono leggermente più elevate per il 2002 (11,6%), con una maggiore spinta proveniente dai segmenti software e servizi,
che compensano parzialmente l'atteso rallentamento del comparto hardware.
In ogni caso, la migrazione delle aziende verso Internet proseguirà a ritmi molto elevati, principalmente perché
la Rete è un ottimo strumento per tagliare costi ed ottimizzare i processi. Di qui, un'accesissima battaglia tra
i produttori di pc sulla tecnologia e sui prezzi, come sostenuto dalla ormai nota legge di Moore.
E' importante rilevare che occupazione e produttività vanno in direzioni contrarie soltanto nei settori maturi o
in declino, vale a dire che un notevole incremento della produttività determina una diminuzione dell'occupazione
solamente in settori come, ad esempio, l'agricoltura e l'attività estrattiva.
Invece, nei settori in crescita (come l'ICT), la nascita di nuovi prodotti e servizi genera un "circolo virtuoso",
dato da notevole incremento del reddito, dell'occupazione ed anche della produttività: questi si sviluppano
assieme e si intensificano a vicenda.
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