2. IPOTESI PROGETTUALI PER L'OTTIMIZZAZIONE DELLA LOGISTICA NEI DISTRETTI
INDUSTRIALI DELLA PROVINCIA DI MANTOVA.
Prima di avanzare alcune proposte in ambito di district logistics è necessario considerare alcune peculiarità che contraddistinguono l’organizzazione dei distretti industriali e il loro sistema di governance rispetto agli interventi di ottimizzazione della logistica di altri modelli produttivi. Vanno quindi effettuate alcune considerazioni preliminari di carattere complessivo sullo sviluppo del district chain management (DCM) e successivamente focalizzare l’attenzione su una serie di proposte che potrebbero vedere la luce specificatamente nei distretti mantovani.
2.1. Linee di evoluzione delle attività logistiche a servizio delle imprese
2.1.1. Network flessibili e reversibili tra imprese per produrre un bene
Il sistema produttivo dei distretti industriali è contraddistinto da una elevata divisione del lavoro
che coinvolge principalmente PMI locali ad alta specializzazione. Questa forma reticolare di
organizzazione industriale, che si è sviluppata attraverso processi in gran parte spontanei, si è
rivelata nel tempo la soluzione vincente nella produzione di beni con mercato a domanda ad
elevata varietà e variabilità, altrimenti definiti di "fascia quick", cioè beni che assommano le
seguenti caratteristiche di mercato e logistica:
2.1.2. La funzione chiave della conoscenza distrettuale (District Knowledge)
Insieme alla flessibilità e reversibilità delle relazioni produttive, la seconda caratteristica che
fornisce all’impresa del distretto una fonte preziosa di vantaggio è costituita dalla qualità sociale
e cognitiva dell’ambiente locale
La "atmosfera distrettuale", per usare un termine classico della letteratura sui distretti, è
permeata di una conoscenza diffusa che è composta da know how, best practices, relazioni tra i
diversi attori, che consolidatesi nei decenni, se non addirittura nei secoli, permettono ad ogni
soggetto coinvolto dalla produzione distrettuale di godere di un vantaggio competitivo non
indifferente.
Tale conoscenza è risultata di difficile se non impossibile trasferibilità e replicabilità, inducendo
spesso i maggiori produttori stranieri dei beni tipici anche della nostra produzione distrettuale a
creare proprie sedi nelle nostre zone per godere di queste economie esterne di
agglomerazione.
Un’ulteriore caratteristica positiva dell’ambiente distrettuale è che ogni innovazione, ogni
ottimizzazione, pur se realizzata dai singoli soggetti imprenditoriali, diventa molto velocemente
un’economia esterna, cioè patrimonio del distretto e quindi condivisa o condivisibile dagli altri
attori distrettuali.
In conseguenza di questa situazione, oggi nei distretti industriali italiani nascono imprese non
solo dagli spin off delle capofila distrettuali, ma anche dalla creazione di filiali, soprattutto
nell’ambito della Ricerca & Sviluppo, da parte delle maggiori aziende estere del settore che
approfittano sia del clima particolarmente favorevole all’innovazione dei distretti che del mercato
locale del lavoro ad alta specializzazione.
Questa atmosfera favorevole alla ottimizzazione del patrimonio immateriale ha subito negli
ultimi anni una sensibile flessione con la delocalizzazione produttiva che, espellendo dal
distretto intere fasi della filiera, ha determinato delle "emorragie cognitive" che oggi cominciano
a creare primi effetti negativi sul patrimonio di conoscenze esclusive di alcuni distretti.
In questo
senso, molti sistemi di PMI che in modo inconsapevole hanno in passato potuto godere di un
humus favorevole, oggi devono cominciare a ragionare in termini di strategie territoriali che
cerchino di riprodurre o perlomeno di non danneggiare l’ambiente socio economico che tanto ha
concorso a creare il loro vantaggio competitivo.
2.1.3. Forte concorrenza fra soggetti della stessa fase di filiera
Nell’ambiente distrettuale sono presenti molte imprese che agiscono ai vari livelli della filiera
produttiva, e si è consolidata nel tempo una forte divisione del lavoro che ha incentivato la
ricerca da parte delle imprese di specifici vantaggi competitivi.
Tale situazione è stata agevolata anche dal fatto che nel distretto l’informazione viaggia molto
più velocemente rispetto ad altre forme di organizzazione industriale e quindi il mercato
"business to business" si mantiene di elevata trasparenza.
Il fornitore di attività produttive migliore, il fornitore di servizi alla produzione più qualificato, il
soggetto più innovativo, il provider di servizi logistici più efficiente, il subfornitore più
conveniente, sono conosciuti da tutti all’interno del distretto, e quindi questa capacità
dell’ambiente di saper informare in modo veloce sulla capacità competitiva dei singoli – capacità
definibile come know-who – ha determinato degli effetti di positiva concorrenza, soprattutto fra i
soggetti coinvolti nella stessa fase di filiera, sia essa produttiva o di servizi.
In alcuni casi la dinamica concorrenziale interna al distretto ha portato a forme di conflittualità
latente o manifesta la quale, nonostante abbia sino ad oggi avuto un effetto positivo a livello di
sistema, ha anche determinato negli imprenditori una forte avversione a tutto ciò che può avere
la minima parvenza di collaborazione o di esplicita cooperazione con gli altri attori distrettuali
che non siano direttamente coinvolti in forma complementare nel proprio network produttivo.
E’ facile capire come ciò si riveli dannoso per quelle politiche, tipiche dell’attività logistica, che si
basano principalmente sull’aggregazione di flussi operativi di imprese diverse, sia di beni che di
informazioni, e sulle conseguenti economie di scala e di scopo ottenibili.
Non a caso, molte proposte che in passato sono state avanzate in questa direzione hanno
avuto poco seguito. La diffusa consapevolezza del valore positivo della concorrenza domestica
è ancora troppo forte per pensare che questa possa essere abbandonata per presunti vantaggi
economici nella funzione logistica illustrati dai vari consulenti e ricercatori. Ogni volta che
questa situazione emerge all’interno di un’analisi della logistica distrettuale si accusano gli
imprenditori di scarsa propensione al gioco di squadra, di poca maturità manageriale o di
incapacità ad affrontare temi che esulino dalla mera produzione di un bene.
In realtà, l’errore è quello di considerare il distretto come una supply chain tradizionale e quindi
cercare di applicare ad esso teorie e strategie nate per dare risposte ai problemi organizzativi di
imprese strutturate su reti di fornitura dipendente.
Proporre strategie di consolidamento dei flussi logistici per diminuirne i costi non tiene conto del
fatto che ciò presuppone una condivisione di informazioni strategiche sui propri clienti e fornitori
che viene ad intaccare il patrimonio cognitivo su cui poggia il vantaggio competitivo delle
singole imprese.
Una proposta di questo tipo può caso mai essere effettuata per supply chains
proprietarie, dove il raggiungimento di determinate economie dimensionali è alla base delle
strategie delle componenti imprenditoriali, ma non nelle reti di distretto.
Quanto detto non deve tuttavia portare alla conclusione che interventi di ottimizzazione della
SCM siano del tutto improponibili all’interno dei distretti.
Tuttavia, assieme ai principi di
efficienza tecnica deve essere dato il giusto peso all’esigenza di mantenere alcune
caratteristiche organizzative e di governance delle filiere logistico-produttive dei distretti. Nei
distretti la ricerca di efficienza va dunque ricercata soprattutto con interventi su alcuni nodi
strategici delle reti locali, o tra quei soggetti che all’interno delle diverse reti locali hanno
sviluppato legami più forti, strutturati e duraturi. E’ in questi casi che si possono proporre con
maggiore probabilità di successo progetti, attività e strategie comuni che prevedano gli
investimenti tipici di supply chain efficienti.
Esistono inoltre alcune aree di ottimizzazione logistica che permettono di mantenere nelle
supply chain distrettuali quei legami deboli tra imprese che non avrebbe senso mettere in
discussione. Vediamo quali.
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